Sclerosi multipla, cellule staminali per sconfiggere la malattia

Sclerosi multipla, cellule staminali per sconfiggere la malattiaArriva dal Canada la nuova terapia a base di cellule staminali capace di bloccare la sclerosi multipla.

I ricercatori dell’Università di Ottawa, Canada, hanno pubblicato uno studio che è più di una speranza per gli ammalati di sclerosi multipla.

La loro terapia a base di cellule staminali, infatti, ha dato risultati entusiasmanti su un gruppo di ventitré pazienti affetti da questa malattia autoimmune.

Grazie alle cellule staminali è possibile bloccare il proliferare delle lesioni cerebrali e altre ricadute cliniche causate dalla sclerosi multipla.

Purtroppo, uno dei pazienti sottoposti a sperimentazione è deceduto a causa dell’aggressività della cura ma nel 70% la malattia si è arrestata, otto pazienti hanno visto un netto miglioramento delle loro condizioni di disabilità. Sulla rimanente percentuale, circa il 30%, la cura non ha sortito alcun effetto.

Le cellule staminali sono prelevate dal midollo osseo degli stessi pazienti. L’aggressività della terapia è legata al cocktail di farmaci chemioterapici che è somministrato ai pazienti allo scopo di rendere più reattivo il loro sistema immunitario.

Subito dopo la somministrazione di questa bomba a base di farmaci, ai pazienti si reintroducono le loro cellule staminali.

Il team dei ricercatori canadesi guidato dai dottori Harold Atkins e Mark Freedman, ha così dimostrato che è possibile resettare il sistema immunitario dei pazienti allo scopo di fermare la progressione della patologia.

Il direttore dell’Unità di Neurologia e dell’Istituto di neurologia sperimentale (InSpe) dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, Giancarlo Comi, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera ha spiegato: “Lo studio, nonostante il numero limitato di pazienti, è di grandissima importanza e ha il merito di un follow up che va molto in là nel tempo, fino a 13 anni. Nel 70% di questi pazienti, se si trattasse di un tumore, si potrebbe parlare di remissione”.

“Il rischio dell’intervento (con mortalità dell’1-2%) è controbilanciato dall’alta probabilità che la malattia si fermi. Inoltre,  – continua Comi – rispetto a studi precedenti, sono stati reclutati pazienti in una fase meno avanzata della malattia e i dati dimostrano che in questo gruppo di persone, chi è peggiorato nonostante il trattamento era in uno stadio avanzato della malattia”.

“Perciò – conclude il direttore – una terapia tanto aggressiva ha un senso se fatta al momento giusto e la scelta va misurata con attenzione. Il trapianto non è adatto a tutti i malati”.