Allarme sicurezza: ransomware nascosti nei processori aggirano ogni protezione

Antonio Capobianco

Le minacce informatiche non si fermano più al software. Secondo un recente allarme lanciato da esperti di sicurezza, gli attacchi stanno raggiungendo i livelli più profondi dell’hardware, colpendo addirittura i microcodici interni dei processori. Questo apre scenari inediti e preoccupanti, in cui nemmeno i più avanzati sistemi antivirus riescono a offrire protezione.

Allarme sicurezza ransomware nascosti nei processori aggirano ogni protezione

Una nuova ondata di attacchi, più sofisticati dei tradizionali malware annidati in PDF o macro Excel, sfrutta vulnerabilità presenti nei microcodici delle CPU, il cuore dei nostri dispositivi.


Cos’è il microcodice e perché ora è un bersaglio

Il microcodice è una componente interna del processore, un codice che traduce le istruzioni di sistema in operazioni fisiche. In genere, viene aggiornato dai produttori di chip — come Intel o AMD — per correggere bug o migliorare l’efficienza della CPU. Ma oggi, questa fondamentale barriera non è più così sicura.

Secondo un’analisi tecnica pubblicata da Google Project Zero e citata da The Register, i processori AMD della serie Zen presentano una falla che consente di alterare l’istruzione RDRAND, un comando usato per generare numeri casuali. Gli esperti hanno dimostrato, tramite un proof-of-concept, che un attaccante potrebbe modificare la funzione affinché restituisca sempre lo stesso numero (es. “4”), compromettendo così l’intero sistema di crittografia e autenticazione.


Il ransomware che vive nella CPU

Il ricercatore di sicurezza olandese Christiaan Beek, noto analista e collaboratore di Intel 471, ha confermato che è possibile scrivere un ransomware che si installa a livello di microcodice. Questo malware, una volta attivo, si annida direttamente nel processore e agisce indipendentemente dal sistema operativo.

“È uno scenario estremo, ma realistico. Le difese tradizionali diventano inutili”, ha dichiarato Beek.

In uno scenario simile, nessun antivirus è in grado di rilevare l’infezione, e nemmeno una formattazione del disco o una reinstallazione del sistema operativo è sufficiente per rimuoverla. Il malware rimane incistato nell’hardware stesso.


Perché questa minaccia è diversa dalle altre

L’aspetto più preoccupante è che le attuali soluzioni di sicurezza non prevedono una difesa a livello di microcodice. Le piattaforme di protezione endpoint, l’analisi comportamentale e persino le tecniche di sandboxing diventano inefficaci contro una minaccia che agisce sotto il livello del kernel.

Come sottolinea anche MIT Technology Review, il crescente spostamento dell’attenzione del settore tech su AI, chatbot e automazione sta lasciando sguarniti proprio quei settori dove si giocano partite fondamentali per la sicurezza informatica.


Cosa si può fare?

Attualmente, non esistono soluzioni mainstream per proteggersi da malware a livello di CPU. Tuttavia, gli esperti raccomandano:

  • Aggiornamenti firmware e microcodice rilasciati dai produttori.
  • Hardware con chip TPM di nuova generazione, con avvio protetto.
  • Monitoraggio delle anomalie a livello di basso livello tramite strumenti avanzati per aziende (es. Intel TDT o AMD Secure Technology).
  • Implementazione di policy di sicurezza hardware-first, specialmente nelle infrastrutture critiche.

Conclusione: un futuro a rischio senza sicurezza di base

Il caso evidenziato da Christiaan Beek è un campanello d’allarme per il mondo della cybersecurity. Mentre l’industria si concentra su soluzioni sofisticate basate sull’intelligenza artificiale, le fondamenta della sicurezza digitale rischiano di essere trascurate.

“Non possiamo permetterci di ignorare lo strato hardware,” ha concluso Beek. “Il futuro della sicurezza passa anche da lì.”


Fonti autorevoli:

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