Ansia, un disturbo che si acquisisce geneticamente dai genitori

L’ansia si configura come un disturbo psichiatrico molto comune: nel mondo più di 250 milioni di persone ne soffrono, di cui circa 7-8 milioni in Italia; si stima, inoltre, che il 30% delle persone potrebbe soffrire di un disturbo d’ansia almeno una volta nella vita.

L’ansia è una condizione psico-fisica caratterizzata da sensazioni di costrizione, affanno e angoscia, che induce le persone a bloccarsi di fronte a determinate situazioni e che provoca tensione, irrequietezza ed apprensione. Queste sensazioni sono spesso accompagnate da sintomi fisiologici come la sudorazione e la tachicardia.

La parola ansia, dal latino angere ossia “stringere”, comunica molto bene la sensazione di disagio vissuta da chi soffre di uno dei disturbi legati al suo spettro, ovvero l’idea di costrizione, di imbarazzo e di incertezza sul futuro. L’ansia, infatti, è uno stato caratterizzato da sentimenti di paura e di preoccupazione non connessi, almeno apparentemente, ad alcuno stimolo specifico, diversamente dalla paura che presuppone un reale pericolo.

Gli stati ansiosi sono correlati alla percezione dello stress: più si vivono o si percepiscono situazioni stressanti, più ci si allarma e si tende a sviluppare risposte ansiose.

Ma da dove deriva l’ansia? I teorici dell’apprendimento hanno formulato teorie diverse. Alcuni ritengono che l’ansia venga appresa, in modo fortuito, nel momento in cui si associano paure innate con oggetti o eventi fino ad allora neutri. Altri, invece, hanno sottolineato l’importanza del comportamento imitativo nello sviluppo di particolari schemi di pensiero.

Ma c’è anche chi pensa che l’ansia non si apprenda affatto: l’ansia infatti sarebbe ereditaria.

A dirlo una ricerca condotta dall’Università del Wisconsin a Madison, negli Usa, secondo cui la ‘colpa’ della maggior parte delle apprensioni e delle preoccupazioni sarebbe scritta nei geni.

Attraverso uno studio, effettuato osservando il cervello di centinaia di scimmie, infatti, è stata identificata la regione del cervello che ne causerebbe i sintomi. Un’area che si trasmette dai genitori ai figli.

I ricercatori hanno studiato una popolazione di quasi 400 giovani scimmie Rhesus, valutando il livello di ansia di ciascuna di loro nel momento in cui veniva esposta di fronte a un intruso: le più ansiose reagivano ‘immobilizzandosi’, si spostavano di meno e facevano meno vocalizzazioni.

Usando la scansione a risonanza magnetica, si è visto che le scimmie con livelli più elevati di ansia avevano anche una maggiore attività in due precise aree del cervello: nel nucleo centrale dell’amigdala (Ce) e nel vicino nucleo del letto dello stria terminale (BST). In altre parole, la quantità di attività in queste due aree predice quanto ansioso sarà il primate.

E poiché gli animali utilizzati nello studio erano tutti legati a gradi diversi di parentela, il team ha scoperto che i livelli di connettività tra le aree interessate erano fortemente ereditabili attraverso l’albero genealogico.

La speranza, ora, è quella di poter definire nuovi e più efficaci trattamenti, dal momento che le attuali cure intervengono sui sintomi e non sul meccanismo che scatena i disturbi.

“Capire come le estese regioni centrali dell’amigdala lavorino insieme nel determinare stati di ansia estrema – concludono i ricercatori – offre un nuovo target neurale per intervenire in età precoce con l’obiettivo di prevenire in ragazzi a rischio problemi maggiori in futuro”.