Vinicio Capossela, sapore di terra nelle sue “Canzoni della Cupa”

Antonio Capobianco

Vinicio Capossela, sapore di terra nelle sue “Canzoni della Cupa”Storie e sapore di terra in “Canzoni della Cupa”, l’ultimo album di Vinicio Capossela.

Vinicio dice: “Questo disco non riguarda soltanto la mia esperienza, ma un bene comune, un giacimento di cultura, qualcosa che portiamo dentro e riconosciamo, anche se non lo viviamo”.

Ed è un album questo, denso, articolato, con ben ventotto storie che hanno proprio sapore di terra. Continua Capossela: Tutto è iniziato nell’estate del 2003 in Sardegna con una sessione scarna, due violini, un cymbalon, un contrabbasso, voce e chitarra.

Poi il disco è rimasto in attesa fino al 2014. Questa è musica che ha bisogno di pratica, di contatto umano, è qualcosa che non nasce e non muore con noi”.

Capossela ha uno stile particolare, quasi un sussurrare, un cantare afono, contrariamente ai linguaggi urlati del canto di oggi. E’ insomma più cantore che cantante. E le parole si diffondono nell’aria con un lessico ricco, desueto, particolare.

Canzoni della Cupa è costituito da due parti: Polvere e Ombra. Il primo è il lato esposto al sole, quello del lavoro e spesso dello sfruttamento.

Il secondo è quello più lunare, quella delle creature che si fanno vedere una sola alla volta, per sfuggire dalle classificazioni. E’ questo il lato delle fughe d’amore e delle apparizioni.

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