Obbligazioni subordinate: un rischio che non si sa di correre

Obbligazioni subordinate

Il decreto legge che ha portato al salvataggio delle quattro banche (CariFerrara, Banca Marche, Etruria e Carichieti) ha scatenato numerose polemiche.  Oltre che sulle modalità di salvataggio utilizzate per salvare le suddette banche, si è aperto un dibattito anche sulle obbligazioni subordinate. Erano i piccoli clienti, avidi di rendimenti aggiuntivi e consapevoli del rischio, a volere i bond subordinati o erano le banche a spingere con forza la vendita di questi prodotti?

Su questo aspetto si è aperto un’inchiesta che rischia di far saltare molte teste, ma che ci permette anche di aprire un dibattito sul concetto di gestione del rischio finanziario. Diciamo subito che se si decide di acquistare un’opzione subordinata, si deve essere consapevoli che queste possono essere una sorta di trappola.

Quando parliamo di trading legato a bond subordinati, infatti, non facciamo altro che riferirci a dei titoli rappresentativi di un debito, che consentono a chi li acquista di diventare creditore dell’istituto emittente, incassando periodicamente degli interessi: le cedole. Questo significa che, in caso di fallimento della banca, nove volte su dieci, c’è il rischio di perdere il capitale investito. Questo succede perché  i titolari delle obbligazioni subordinate sono considerati dei creditori di serie B, i cui diritti patrimoniali possono essere soddisfatti soltanto dopo aver risarcito altri soggetti come i dipendenti della banca, i correntisti o i sottoscrittori dei bond ordinari.
Dopo aver letto la spiegazione di sopra molti si chiederanno: ma chi ha accettato le opzioni subordinate, era consapevole del rischio che correva? Qui casca l’asino, perché è proprio su questo che, i piccoli risparmiatori, basano i loro diritti a riscuotere i crediti.

Un detto anonimo dice: “L’ignoranza è la più grande arma di distruzione di massa”. Verissimo, ma, se Socrate sapeva di non sapere, è evidente che non tutti sono a conoscenza dei propri limiti.
In particolare modo, i correntisti che hanno investito nei sopracitati bond, hanno vissuto nel buio intellettuale più totale. Probabilmente, hanno basato il loro investimento, non sulla cognizione del rischio, ma sulla fiducia che avevano nella banca.

Esistono alcune regole non scritte in ogni relazione, sia essa sociale o lavorativa. Un avvocato che deve dibattere una causa in tribunale, ad esempio, sa che c’è una cosa che non deve assolutamente fare se non vuole partire battuto in partenza e cioè, porre ad un testimone una domanda di cui lui stesso non conosca già la risposta. L’avvocato cioè, deve annullare in tutto e per tutto il rischio di errore, perché da quello dipende il suo successo.
Nel campo economico, però, il rischio non si può annullare del tutto, perché, la possibilità di perdere il proprio capitale è compensato da quello di poter avere un riscontro positivo e ritrovarsi con dei soldi in più di quelli investiti.

E’ però vero, che per comprendere il rischio, bisogna anche conoscere il sistema. Entriamo qui nel campo della comunicazione tra chi chiede ad un soggetto di compiere un determinato investimento (di cui conosce ogni risvolto e pericolo) e il soggetto chiamato a mettere il proprio patrimonio nelle mani del primo. Se il secondo soggetto non è del settore, avrà senza dubbio delle lacune che andrebbero colmate. E’ qui che manca un binario per permettere alla comunicazione di veicolare correttamente. Le Banche vengono controllate dalla Consob (e dalla Banca d’Italia), ma loro controllano i conti, non la burocrazia che sta tra la banca e l’investitore.

Secondo l’ultimo rapporto OECD sulla cultura finanziaria, l’Italia è agli ultimi posti i questo settore. Questo significa che esiste un dislivello informativo che porta poi al caso delle quattro banche da cui siamo partiti per la nostra disamina.
Per ovviare a questo problema occorre quindi un maggior rapporto comunicativo ed un investimento nella formazione dei manager degli istituti finanziari. A questi ultimi si chiede una maggior responsabilizzazione ed una più chiara comunicabilità verso l’investitore, in modo che quest’ultimo abbia tutti gli elementi, e non solo una parte di essi, per poter valutare cosa sia meglio fare.
In fin dei conti , se è vero che “Chi non risica, non rosica”, è vero anche che Icaro, avvicinandosi al sole con delle ali di cera, è precipitato nel vuoto.